Avevo solo quindici anni quando andai per la prima volta con Nicola in ospedale. Lui ci andava tutti i sabati, aveva un permesso speciale a scuola per assentarsi sempre in quello specifico giorno… Lui era anemico, anemia falciforme si chiamava la sua malattia, e sarebbe stata lei a portarlo via di lì a poco… sette o otto anni dopo…
Nicola aveva le braccia piene di ematomi, e quando si feriva piangeva come un bambino, e la Compagnia di cui facevamo parte da anni lo prendeva in giro definendolo una “feminuccia che frignava per niente”, poi capimmo il suo dramma…
Quel sabato mi cambiò la vita, vidi per la prima volta la sofferenza con gli occhi di un ragazzo abbastanza maturo qual ero, e percepii cosa volesse dire per lui vivere, o meglio sopravvivere: venire collegato ad una macchina che “gli puliva il sangue” tutte le settimane. Stava lì attaccato con le braccia lungo il corpo per due o tre ore, tutti i santi sabato… da quando era bambino… Quel giorno io con Danilo, suo padre, passeggiavo per l’ospedale aspettando la fine di quello che per loro era un triste rito. L’ambiente asettico, privo di dolore, qual’era quell’ala dell’ospedale, mi dava i brividi… Certo io son sempre stato abituato ad andare per ospedali, ma vedere un amico soffrire così mi ferì…
Fu in quel giorno che decisi di donare il sangue, e il 31 luglio 1993, il giorno dopo che compii il mio diciottesimo anno di età, mi iscrissi per la prima volta all’Avis… Fu un dono che feci a Nicola, di cui io non gliene parlai mai, un dono come a voler condividere uno dei più importanti e “mistici” liquidi del nostro corpo.
Anche se mai te l’ho detto, anche se quando tuo papà piangeva io ero distante con il corpo… io ero il tuo fratello di sangue…