Me ne andrò,
leggero come l’inchiostro,
senza far rumore.
Morirò da solo.
Perché così è stato,
perché così ho vissuto.
Sarò una piuma
volerò via,
per sempre.
E tu…
fingerai di avermi amato.
© Alessandro Bon
Rosso come la mia pelle,
rosso come il mio cuore.
Uomo bianco mi odia,
uomo bianco mi stermina.
Cavalcavo nel deserto,
Wakan Tanka mi guardava,
danzavo con gli spettri,
Wakan Tanka mi ascoltava.
Può un uomo decidere chi sono?
Può un uomo uccidere suo fratello?
Cacciavo il bisonte,
Wakan Tanka mi guardava,
cantavo coi Wicasa Wakan,
Wakan Tanka mi ascoltava.
Può un uomo erigersi a giudice?
Può un uomo impormi un Dio?
Ora mi guardo attorno,
Wakan Tanka non guarda,
ora ascolto gli spettri
Wakan Tanka non ascolta.
Religione vuol dire capire,
religione vuol dire amare,
religione vuol dire aiutare.
Se il Vostro Dio non ve l’ha insegna,
se il Vostro Dio non vi ha puniti….
Wakan Tanka guarda tuo figlio,
Wakan Tanka ascolta la sua preghiera:
regalami una morte degna di un guerriero
© Alessandro Bon
Non c’è più l’armonia della scrittura,
il lento muoversi del gomito,
quell’indugio impercettibile
nato dalla paura di commettere errori.
Non è romantico scrivere su una tastiera,
non c’è il ricordo della parola cancellata,
dell’inchiostro speso per togliere un verso,
un segno che sporcava e arricchiva i testi.
Non sento le spalle dolere
per il troppo scrivere,
e dimentico spesso di conservare le mie parole,
lasciandole abbandonate nell’aria,
figlie di nessuna bocca.
© Alessandro Bon