L’opinione di Alessandro Schwed al mio libro “La persistenza della Memoria”

La persistenza della memoria (copertina)Vorrei porgerti la mia impressione dopo una prima lettura de ” La persistenza della memoria” che mi hai mandato in pdf. I temi che tratti sono molto forti e trattati a fondo, mi paiono davvero originali, sono i particolari sentimentali della nostra vita, vita guardata molto da vicino…la nostra compagna, la mamma, generare un figlio, il seme che si fa aborto, l’esplorazione del bacio, ovvero di una bocca. C’è concretezza e c’è urgenza, secondo me quanto di più autentico e necessario per mettersi a scrivere e addirittura a cantare. Ora si tratta di intendersi su cosa sia per te la forma-poesia, e in subordine cosa sia per me, il che conterebbe poco se non fosse che è a me che chiedi una qualche valutazione, impressioni. Partendo necessariamente da cosa sia per me la poesia, ho da dirti che trovo la tua scrittura di qualità, scava con coraggio, vibra e fa vibrare, e sento la tua voce. Sei uno che ha una voce e la si riconosce. Raro dono. Allo stesso tempo dico crudamente e schiettamente: io non sono certo che il tuo modo di scrivere sia di per sé riconducibile alla forma-poesia, magari sarebbe una prosa poetica – ma chi sono io per definire certe forme così personali? Non ho purtroppo una tale autorità ed esperienza. Personalmente ho letto molta poesia nella giovinezza, diciamo sino a trenta, trentacinque anni fa, ho interiorizzato e metabolizzato poeti di lingua italiana e poeti di lingua non italiana, in questo ultimo caso prevalentemente i russi e i beat americani. La lettura della poesia italiana e dei suoi poeti italiani fu un’esperienza meravigliosa fatta con il mio professore di letteratura italiana a Firenze, Mario Martelli, gli studie e le letture fatte con lui mi sono stati molto utili per cogliere la forza espressiva della lingua italiana, la sua valenza ritmica, le figure retoriche, così come mi sono stati molto utili i poeti del Duecento, Angiolieri, Folgore – modernissimi – e naturalmente Petrarca e Dante. Io li trovai, e ancora adesso li trovo di una fluidità potente, come se uno che fa il poeta portasse in giro le parole con lo stesso gesto di chi porta in giro un aquilone. Amavo e amo la loro complessità mascherata da semplicità straordinaria, e da invenzioni di parole che vengono da altri contesti, per fare un esempio la lingua marinara, di chi va in barca e usa le vele, o la lingua del coltivatore, parole adattate in modo folgorante alla bisogna e all’urgenza e allo struggimento di modo che la bisogna, l’urgenza e lo struggimento non siano troppo logici, lineari, ma rechino qualcosa dentro di sé che poi è l’ineffabile, il mistero della natura che nel semplice gesto di un’onda che rovescia l’acqua di nuovo sulla spiaggia imita magari qualcosa che un uomo ha dentro di sé, ad esempio un’ossessione d’amore che torna – e così se ne coglie il significato emotivo. E così troverei necessario una tuo lavacro nella lingua della poesia italiana, e anche nella straordinari lingua del popolo, che ancora esiste in ogni parte d’Italia, in modo che poi tu possa donare a chi legge una ricchezza fondamentale, una necessità, un nutrimento basilare. È un problema, per come la vedo io, di giustificare e sorreggere la forma-poesia come se fosse una forma canzone. Anche la poesia dei poeti non italiani può dare suggerimenti, non evidentemente nel ritmo, ma può dare suggerimenti nella creazione di congegni legati al ritmo e al respiro, e qui penso ai beat, a Ginsberg o alla prosodia bob del primo Kerouak che prese a imitare il sax di Charlie Parker che aveva appena rinnovato il jazz facendo in modo che per fraseggiare non solo non fosse necessario riprendere fiato, ma che il non riprendere fiato fluidificasse le frasi e rendesse nuovo e spirituale il testo musicale, da cui poi Coltrane e l’intero free jazz. E qui vengo ai russi. Personalmente io ho trovato, trovai, molto interessante il linguaggio della poesia di Marina Cvetaeva, in particolare – tu pensa! – il suo uso del trattino per spezzare le frasi e il senso, rendendo i versi meravigliosamente ambigui, come formando più strati di lettura dunque di coscienza e percezione. D’altra parte i tuoi argomenti “sentimentali” sono così forti e personali che magari potrebbero giustificare la forma del racconto, un racconto dotato di una prosa elaborata e potente con riconducibile alla poesia ma ad una scrittura densa, alla prosa come canzone. Ecco fatto, adesso detesterai l’esperienza di avermi conosciuto, ma credimi questo è quello che penso. Auguri infiniti, sii felice di amare così tanto la scrittura da spenderci le singole ore.
Alessandro

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