Non ricordo bene quando fosse, non ricordo l’anno, ma ricordo che era estate, forse nel 2001, e stavo leggendo un libro: “Filosofia per tutti” de “Il Saggiatore.”, e mentre leggevo questo libro alzai la testa e fiero di me dissi: “Diventerò uno scrittore” a mia madre. Il suo sguardo fu compassionevole, sembrava dire: “Sogni a occhi aperti, non ne hai le capacità”. Fu la mia prima grande delusione in questo percorso che mi vedeva impegnato a cercare me stesso attraverso la parola, fatto anche di persone a cui tenevo che mi irridevano e non mi consideravano come un potenziale poeta. Feci un gesto quel giorno, premeditato, di cui conoscevo le conseguenze, gettai tutti i fogli stampati fino a quel momento con le mie ottantasette prime poesie nell’immondizia, non nella carta da riciclare, cosa che facevamo da dieci anni, ma lì, perché riempisse il bidone, e perché lei lo trovasse.
Poco più tardi scesi in cucina e lei era lì seduta che leggeva i mie scritti, mi chiese se fossero opera mia, io le risposi di sì. Erano poesie fatte di sofferenza, che raccontavano la mia voglia di morire e la mia depressione, l’isolamento in cui ero, e la disperazione di un giovane uomo che non sapeva come uscire dal buio.
Ne parlò alla sua ginecologa, che è anche psicologa mia madre, e mi incoraggiò a pubblicarlo. Io ero troppo chiuso per fare questo passo e non uscivo da quella stanza da anni. Era terribile non saper vivere. Così mi rivolsi a una piccola casa Editrice: Edizione Progetto cultura 2003, il mio primo libro: “Gocce d’acqua in un mare di petrolio”. Un piccolo volume senza pretese, che io mi vergognavo a pubblicizzare. Mi vergognavo di ammettere la mia disperazione, di chiedere aiuto, pur essendo in cura da sette anni ormai. E da quel giorno che gettai i miei scritti erano passati ormai quattro anni.
Grazie ad Antonella, la dottoressa di mia mamma, conobbi la sorella Tiziana, poetessa veneziana, e poi Giorgia, poetessa di Mestre, che mi fecero entrare in due gruppi di poeti separati dal Ponte della Libertà, e dalla mentalità dei veneziani da quella dei mestrini.
La vita è fatta di incontri, di persone che entrano ed escono dalla nostra vita e quell’anno in cui pubblicai il mio: “Gocce d’acqua in un mare di petrolio”, ebbi la seconda grande crisi dovuta al disturbo bipolare, attacchi d’ansia, incapacità di alzarmi dal letto seguita a stati di euforia e confusionali, era un incubo. Morì mio cugino Mariano, mio padre ebbe problemi con il cuore, mio fratello ebbe un incidente, e mia madre da sola dovette subire tre gravi colpi, una famiglia che sembrava distruggersi. E nessuno a cui appoggiarsi.
Era ottobre 2005 e io scrissi altri due libri: il primo una breve biografia in cui non pensai a null’altro che gettare sul foglio word ogni mio piccolo sentimento, senza badare troppo ai crismi richiesti per pubblicare un libro: il secondo una raccolta di poesie che avrei tenuto a lungo nel cassetto.
Nel frattempo provavo a pubblicizzare il mio primo libro. Ma solo a persone sensibili ne parlavo. Il mio professore di lettere delle superiori ogni volta che lo andavo a trovare mi parlava dei successi dei figli e snobbava il mio libro, o me. Mentre ricordo un prete famoso di Mestre prendere il libro per la rilegatura farlo oscillare a mezz’aria e dire: “Ma lei vive di queste cose qui?” Che umiliazione, non si può immaginare, quale sensazione possa provare una persona a sentirsi dire ciò.
Tutto il mondo sembrava deridere il mio lavoro, solo i poeti veneziani e mestrini avevano un minimo rispetto di me. E soprattutto a Venezia mi sentivo accolto.
Il 2005 lo conclusi chiuso in casa… e dopo mesi di malattia fui costretto a licenziarmi. Deriso dal datore di lavoro. E abbandonato dai colleghi. Solo tre mi restarono amici.
Se ti è piaciuta la biografia devi sapere che questa fa parte del mio nuovo libro:
—-> La persistenza della memoria
Disponibile in Ebook o cartaceo.