E’ dall’otto maggio che non pubblico nulla nel mio blog, non è stata pigrizia ma malessere, chi mi conosce sa che soffro di disturbo bipolare, e che non è facile convivere con una patologia che assume sempre nuove forme. E’ difficile far capire a chi ti sta accanto ciò che provi.
E mi rifugio in un silenzio assordante, perché è così lontano il mondo reale da te. Chi mi circonda continua a chiedermi cosa ci sia che non va, ma non accetta la risposta. Non vogliono risposte, ma rassicurazioni, non vogliono capire perché soffro, ma sentirsi rassicurati. E la non comprensione porta a nuove tensioni, come se io ne avessi bisogno.
Lo so che al di là dello specchio, nella realtà parallela che io non vivo, il mondo è più veloce, ha altri ritmi, e non ha tempo di accettare le mie diversità, le mie crisi, le mie necessità di essere me stesso, ma io non posso combattere contro la mia natura. E’ in essa che vivo. A nessuno dovrebbe essere imposto di essere un “altro sé”, ma troppo spesso chi è in una condizione dominante vuole omologare chi lo circonda, cercando di trovare una scusa suprema per giustificare questa violenza.
Non esiste alcun bisogno reale di omologazione se non la volontà di avere meno problemi nel gestire chi ci circonda. Di aver una minore possibilità di vedersi fuggire una pecora dal gregge. Ma chi soffre di malattie mentali è diverso, non è omologabile, e soffre per questioni che spesso chi è omologato non comprende.v
Mi son trovato spesso in questi ultimi dieci anni a chiedere, quasi supplicare, di esser lasciato in pace quando sto male, ma spesso a vuoto, spesso non compreso, non ascoltato, deriso. Perché come chi ride al vedere un uomo cadere a terra, così c’è chi ride a vedere soffrire gli altri. E questo è un altro lato della medaglia, da un lato l’incomprensione, dall’altro la cattiveria. Eppure non scegli di essere te stesso, ma ci nasci, così come nasci mancino, gay, nero, nasci “fragile” psicologicamente, ma sei davvero fragile?
La malattia ti assorbe, ma di più ti assorbe la società, che non ti lascia la possibilità di viverti. Per essere me stesso ho bisogno di scrivere, di me certo, ma anche raccontare il mondo che mi circonda, di esprimermi in versi, di essere poeta. E quando ciò non avviene io soffro, io cedo alla depressione.
Non ho scelto di essere me stesso… ma mi impegnerò per far in modo di esserlo al 100%.
Ma non si sfugge al “male oscuro”:
Una favola orientale racconta di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all’uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà. L’uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se stesso. Finché un mattino l’uomo sentì che il serpente se n’era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non saper cosa fare della sua libertà: “nel lungo periodo del dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente, e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita”. L’analogia di questa favola con la condizione istituzionale del malato mentale è addirittura sorprendente, dato che sembra la parabola fantastica dell’incorporazione da parte del malato di un nemico che lo distrugge, con gli stessi atti di prevaricazione e di forza con cui l’uomo della favola è stato dominato e distrutto dal serpente. Il malato, che già soffre di una perdita di libertà quale può essere interpretata la malattia, si trova costretto ad aderire ad un nuovo corpo che è quello dell’istituzione, negando ogni desiderio, ogni azione, ogni aspirazione autonoma che lo farebbero sentire ancora vivo e ancora se stesso. Egli diventa un corpo vissuto nell’istituzione, per l’istituzione, tanto da essere considerato come parte integrante delle sue stesse strutture fisiche. (Franco Basaglia da Corpo e istituzione, 1967)